lunedì 25 aprile 2016

CULI PUNK VS CULI ODIERNI: DA VIVIENNE WESTWOOD ALLE MUTANDE DI JEANS

(Le pause su questo blog segnano un cambiamento.
Il cambiamento, in effetti, c'è stato...e positivo!
Cercherò di essere presente con un post a settimana.
Eccolo!)

Oggi voglio condividere con voi una riflessione che mi solletica ogni primavera: quella sui culi, culi ovunque. Un viaggio che parte da Piazza Duomo, viaggia su tram e metropolitane e finisce nei locali la sera. 
Parliamo del significato del mostrare le proprie grazie, tornando ai lontani anni Settanta, quando le punk cominciavano ad affacciarsi sulla scena.
Non c'erano soltanto gli emaciati e scheletrici disturbatori da palcoscenico con le creste colorate e le spille da balia: al loro fianco, quasi più forti, più sfacciate e più ribelli, c'erano anche le ragazze. A loro modo diverse, distanti dall'ideale di donna per bene, quella typical girl che le Slits sbeffeggiano nell'omonima canzone.

The Slits



La donna punk è decisamente una donna nuda, ma non è una donna femminile. Sono molti i tratti in comune – stilisticamente parlando – con i colleghi uomini, ma le fanciulle fanno più scalpore. Quando il vinile, la pelle e le borchie entrano nei guardaroba delle punk girls, alla fine degli anni '70, comincia a trapelare un messaggio diverso sull'essere donna. Mostrano i seni e altre parti del corpo, avvolte in micro-mise dai richiami inequivocabilmente fetish e S/M...ma attenzione: non lo facevano per sentirsi e mostrarsi “puttane”. Potremmo considerarle tutt'al più rozze, estreme, sicuramente portatrici di un messaggio di degrado, ma non disperato. La donna punk usa l'abbigliamento per urlare, ma all'abbigliamento così sexy affianca un'atteggiamento che di femminile non ha niente. Anzi, sembrano la versione con tette e culo dei colleghi uomini. Via la donna, entri la femmina. Via qualsiasi vicinanza allo stereotipo di signorina per bene: il mondo non è tutto rose e fiori hippy. In giro c'è la spazzatura, e noi te lo diciamo ribaltando completamente l'ideale di genere legato al gentil sesso. E a proposito di sesso, basta tabù: le punk iniziano a liberare l'argomento da qualsiasi censura. Il sesso non è più una roba da sussurrare e per cui arrossire. Il sesso, loro, se lo scrivono sulle magliette. Ci pensa poi Vivienne Westwood, che già aveva creato e alimentato il fenomeno della moda punk, a sdoganare tutti i suoi elementi tipici, sottraendoli alla mera subcultura giovanile per darli in pasto ai fashionisti.



Oggi ci sono le mutande di jeans, e a indossarle non è più Sabrina Salerno, ma le quattordicenni. Si intravedono già in questo caldo aprile, ancora apparentemente timide, ancora avvolte nei loro collant 90 denari, prima di denudarsi del tutto tra un mesetto o poco più. Non importa se siamo alle Maldive, a Milano, sul Gran Sasso o sul lago di Garda: la mezza chiappa anni 80 torna alla ribalta. E non bisogna andare a un concerto punk per avere a che fare con i culi di qualsiasi tipo, esibiti con totale noncuranza e con un pizzico di ironia. Basta uscire alle 4 di pomeriggio a Milano. Il messaggio di oggi è totalmente, puramente sessuale, figlio dei tempi italiani che ci dicono che mostrare le proprie grazie è IN, nasconderle sotto strati e strati di stoffa è assolutamente impensabile.

Courtney Stodden

Esibire il corpo senza scopo alcuno, se non quello di esibirlo e basta. Involgarirlo, profanarlo, abusarlo, gettarlo in pasto al mondo senza alcuna finezza. Che lo faccia la bella ragazza dalle gambe chilometriche, o l'adolescente bruttina con la ritenzione idrica, il messaggio non cambia: semplicemente non c'è. Ci si spoglia senza voler comunicare niente. Ci si veste senza volersi bene. Nessuna lotta sociale, nessun messaggio, solo un misero “te la dò”, al massimo.
Che dite, voi?


Madame La Gruccia

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